sudditudine

si viaggia tanto ma non si arriva mai, stavolta era Taranto
immaginavo di essere mio nonno che lì ci ha costruito anni e anni e anni, e faceva il pendolare e tornava venerdì sera
immaginavo di essere lui
immaginavo di immaginare i suoi pensieri mentre faceva quelle stesse strade o forse lui andava da Salerno e non da Bari chi può dirlo
ma avrà pensato mille volte le cose che ora penso io
le cose che ora sento io
le strade deserte e con questo caldo pazzesco chissà con quale macchina faceva questi viaggi lunghi
ho pensato che potesse aver sentito anche lui quella sensazione di pelle d’oca a percorrere il circummarepiccolo e sentire la somiglianza con la strada che fa il giro attorno al Lago di Patria
con lo stesso abbandono e la stessa terra arida e non curata ma forse quando lui era lì non era già tutto dimenticato dalla gente com’è ora

la provincia di Taranto mi ha rattristato perché sentivo suonare una nota lontana che non si spegneva mai e questa melodia era una specie di malinconia o pianto di leggero dolore che somiglia a qualcosa che si sente a Napoli, una specie di ultrasuono appena percepito come quello dei richiami per gli animali, una presenza vibrante costante irripetibile inarrestabile che nella provincia di Bari non avevo mai sentito
c’è una specie di filo di rassegnazione che a Bari non c’è, a Bari sembra che si possa fare tutto, basta volerlo, si raccoglie la monnezza, basta volerlo, si rifanno le strade, basta volerlo, si organizza la vita, basta volerlo, avete dimostrato che si può essere meno votati all’abbandono anche se siete al sud, mentre a Taranto sembra di essere in mezzo ai rassegnati napoletani speriamo di riuscire a tirare innanzi

e dopo aver visto e assaggiato tante sagre al nord ti ritrovi in una sagra al sud tu che al sud le sagre non le avevi mai girate ti domandi perché pur essendo in puglia nelle sagre la voce e l’anima della gente scelga le canzoni napoletane
ché lo sapevi già che la canzone napoletana non è assolutamente solo napoletana e soprattutto esiste tanto in puglia e sicilia
però è diverso, stavolta è diverso
sei costretto a ricordarti di essere del sud e però se te lo dovessero chiedere non sapresti spiegare cos’è
eppure voglio fortissimamente non dimenticare cos’è
e per la prima volta invece di pensare che sono solo canzoni napoletane e le conoscono tutti
pure se così è
penso che la voce che viene fuori in quell’occasione è quello che quel popolo in quel momento vuole dire di sé
anche se è banale, forse proprio perché è banale
è l’immagine di sé a cui non rinuncia se deve mostrarsi fuori, agli altri
è quello che ama far sapere di sé, sceglie di dare voce alla parta malinconica, alla parte passionale e sentimentale, al cuore enorme, anche se forse non è niente vero

giro a Castellaneta con la tentazione che devo reprimere di invicolarmi e perdermi nelle strade troppo strette perfino per due persone e invece seguo il percorso che mi porta tra gli stand a mangiare e bere e urtare la gente
arrivo alla piazza dove il trio col mandolino suona, suona e non canta, perché è la gente che canta, ma senza urla, senza entusiasmi violenti zumpappà zumpappà
salgo sulle lunghe scale di una chiesa stanca che è sdraiata di fianco e sul suo fianco mi siedo
mi siedo in alto troppo in alto perché giù i tre musicisti possano vedermi
ma io posso vedere il sorriso felice di uno dei tre e i suoi occhi lucidi quando attacca una nuova canzone e al ritornello quelli al primo gradino cantano con lui aspettando il suo cenno
mi volto per non guardarlo e cerco di capire cosa sento in fondo, davvero in fondo cercando di liberarmi delle sovrastrutture, cercando di togliere tutti i significati aggiunti e le associazioni successive che hanno imbastardito ogni ricordo che hanno velato di amarezza anche una cosa così semplice come una canzone napoletana

c’erano giorni felici? sì che c’erano
c’erano questi momenti brevissimi in cui si accettava la tregua del cantare
durava quel che durava, durava quel che bastava a mettere insieme qualche giro di accordi a volte nemmeno quello
eppure c’erano questi momenti, anche se limitati e ristretti, in cui si era una punta di un iceberg che si sarebbe sciolto presto
una punta ipotetica di qualcosa di bello e sano che non è mai venuto a galla e si è sciolto sott’acqua
evidentemente c’erano questi giorni in cui si riusciva a mettere insieme una manciata di tentativi, e su tutte c’era la chitarra delle canzoni napoletane con i fogli delle parole raccolti nella cartellina e la chitarra da accordare all’ultimo momento
c’erano d’accordo, ma erano brevi, allora forse meglio questi momenti di canzone più lunghi, anche se non sono canzoni cantate da noi da me da lui e lei per qualche momento in sintonia, anzi, più che in sintonia, a scambiarsi un cenno d’intesa per la tonalità, e quella voce che scorre e non strozzata
infine non importa tanto se c’erano, mentre mi si velano gli occhi e quand’anche qualcuno li incontrasse con lo sguardo, non capirebbe mai che non è il trio ai piedi delle scale che mi commuove ma va bene così

father, father, we don’t need to escalate, eppure, fa’ che stavolta sia diverso

a far risalire la bilancia:
gli nghiummeridd, gli involtini di trippa, le bombette, la terra dei vulcani alla catanese che solo Corewar sa cosa intendo, la strada tra Manduria e Avetrana con la masseria che non ho fotografato, Torre Colimena
e la sua acqua caraibica, le pinete sul mare, la casa con le tre donne strabiche e i due gemelli strabici, il vecchio che ci fa una ramanzina per il parcheggio ma poi ci sorride carezzandoci una spalla nfa niend
va male, va male per tanti versi ma sono versi solo nostri

ché la sudditudine è un’origine non ben definita (sud)
è una condanna se non si riesce a prenderla bene (sudditanza)
e infine un pensiero fisso per chi non ritorna (solitudine)

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