Il faro

Mi addormentai sbagliando, perché non avevo con me i motivi giusti.
Avevo tutto quel daffare con le date ricorrenti, le persone che si somigliavano, i volti che mi ossessionavano. Non dovevo dormire, non avevo sonno ed era il momento meno opportuno della giornata. Volevo solo liberarmi delle ricorrenze.
Era un pomeriggio poco obiettivo e con troppa luce sul letto. Francesco, un elemento del gruppo dei volti ricorrenti, cominciò a parlarmi nel sonno senza avere prima la cortesia di apparirmi con un qualsivoglia aspetto.
- Lascia stare queste carte... vuoi darmi una mano?
Dio sa cosa significasse. Francesco aveva il capello più spettinato e svolazzante del solito ed era seduto ad un tavolo da disegno, ma senza disegni sotto le mani. Mi parlava tranquillamente come se il tempo non fosse mai passato, il tempo con tutte le sue cicatrici o meglio ancora prima con tutte le sue ferite. Era un'immagine di lui diversa dal solito quella che mi si era formata in sogno, inusuale eppure verosimile.
Il sogno andò avanti per un po'. Occupavamo dello spazio comune, e la presenza di sole e caldo mi distraeva da qualsiasi altra considerazione sul significato delle nostre azioni. C'era solo tempo che si faceva trascorrere senza volontà.
Quella notte feci molti altri sogni, troppi. Decisi di non ricordarmene il contenuto, ma mi fu impossibile dimenticarne l'atmosfera e la sensazione di benessere che mi avevano lasciato. Nonostante la certezza che non fossero sogni piacevoli. Andò avanti così per molto tempo.

Il giorno dopo affrontai una piscina pubblica priva di vasche più profonde della mia altezza. Uno spazio enorme e pullulante di persone, tutte giunte in gruppi, come fossero gite organizzate, di quelle a pagamento. Non sapevo a quale affiancarmi e però tutti sembravano avere uno sguardo affettuoso per me. L'acqua per una volta non era elemento disturbante e nemmeno la folla. Nella mia pazzia, cominciai a chiedere di Francesco, come se potesse esserci connessione tra i sogni, vittima di quella mia remota infantile teoria secondo cui c'è un altro mondo completamente parallelo e congruente, nei sogni, e non mondi casuali che si dissolvono al risveglio. A volte mi era riuscito di collegare sogni fatti in precedenza e di muovermi tra un ambiente e l'altro. La gente che sguazzava in questa piscina bassa ovviamente mi guardò con compassione.

Per tutti i giorni successivi, mi svegliai sempre stanca e sentendo il peso della realtà. Quella in cui non riuscivo a dirigere gli eventi e determinare la direzione di ciò che mi circondava. Ritrovai per caso brandelli di conversazioni con Francesco che mi trasformarono stupidamente la percezione di ciò che avevo visto di lui in sogno giorni prima. Passai giorni, forse intere settimane, a cercare di adattarmi al mondo vigile dei cui ingranaggi non ero padrona. Nel tentativo di isolarmi sempre più, presi a dormire con le persiane chiuse, come mai avevo fatto in vita mia, per violentarmi col buio ed il silenzio della mia testa spenta. Poi, l'ultima notte, nell'ultimo dei sogni, vidi Francesco riporre tutte le sue carte in silenzio, senza accorgersi della mia presenza, o forse proprio in virtù della mia assenza dalla scena. Lo vidi cambiare lineamenti più volte, per fare il giro completo delle mie ossessioni. Raccolse le sue cose e si richiuse la porta alle spalle. In quel momento qualcosa mi accecò riportandomi alla realtà.
Era notte fonda e un fascio di luce attraversava le persiane.
Costretta ad alzarmi per aprirle, risposi alla chiamata intavolando un lungo silenzio con la luna piena.

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