for what it's worth

Non ho mai perso la maledetta abitudine di appuntare mentalmente tutto, di elencarmi ogni giorno cosa devo fare indipendentemente dalla priorità, dalla gravità, dall'importanza. E così le mie liste scritte e verbali diventano enormi e vengono abbandonate. E la relatività scompone tutti gli ordini di cose: una cosa dimenticata, ma di priorità inferiore, finisce per farmi sentire in colpa, mentre una cosa urgente e importante trascurata anche a lungo comincia a far parte dei doveri che finirò per abbandonare, mio malgrado, con un senso della responsabilità marcio e stravolto.
Ma la categoria peggiore sono i doveri periodici. I doveri periodici e quelli intimi, personali, naturali, sani. Ricordati di lavarti, ricordati di nutrirti, ricordati di proteggerti chiudendo la porta la sera. Quelli che dovrei scrivere su un fottuto pezzo di carta ogni giorno e se anche li cancellassi, la mattina dopo si riscriverebbero magicamente da soli, ricordandomi che sono sempre perennemente periodicamente inadempiente.

Più ci rimugino più mi sembra diventare lentamente un meccanismo metaforico. Mi immagino doveri verso le persone, verso le cose, verso me stessa, mi immagino sentimenti e affetti che non basta affrontare una volta, che richiedono impegno continuo, che ci vorrebbero sempre vigili e sempre al cento per cento delle nostre risorse, mi vedo di fronte a delle prove da superare sempre, come se non fossero mai compiute, come se ogni traguardo difficilmente raggiunto non fosse altro che uno step di qualcosa senza una fase finale, serena, tranquilla. Risalire dal baratro doveva solo abituarmi a compiere gli sforzi necessari alla sopravvivenza, non autorizzarmi a concedermi una sosta. Posso forse vivere di quella spinta ma prima o poi la gravità mi pretende giù attraverso l'acqua e senza un continuo vitale slancio verso l'alto, aver affrontato il baratro non sarà servito a nulla. Nessuno ha diritto a vivere di rendita.

Sezione: 
Catemera